Dite la verità: al giorno d’oggi, sul finire di un 2020 largamente imprevisto e problematico e con la prospettiva di un 2021 denso di incognite, che cosa sareste disposti a fare per essere felici?
Il tema della felicità accompagna la storia del genere umano fin dai tempi più antichi. Ed è molto difficile dire quale sia la formula, o il segreto, della felicità.
C’è chi pensa che la felicità sia una sensazione piacevole a livello mentale. E c’è chi pensa, invece, che l’essere felici sia collegato ad una dimensione di possedimenti materiali.
Uno dei pensatori più pittoreschi di tutti i tempi fu Empedocle – filosofo siceliota vissuto nel V secolo a. C. – che cercò di conciliare il pensiero del filosofo greco Parmenide (vissuto tra il V e il IV secolo a. C.), secondo il quale l’anima e le idee erano superiori alla materia e ai sensi, con quello del filosofo greco Democrito (460 a. C. – 370 a. C.), secondo il quale anche l’anima e le idee potevano essere ricondotte alla materia e ai sensi.
A metà tra un avventuriero di alto bordo e un ingegnoso pensatore, Empedocle elaborò una teoria che presiedeva alla combinazione degli atomi e alle loro scomposizioni: l’odio e l’amore. Secondo Empedocle, infatti, è per amore che gli elementi si associano, ed è per odio che si dissociano. Si tratta di un alterno processo che va avanti all’infinito.
E se i sensi non ci permettono di afferrarlo, essi ci mettono tuttavia sulla buona strada per farlo. Non bisogna credere ciecamente in loro, ma non bisogna neanche disprezzarli.
Fin dai tempi antichi, dunque, si ragiona su quale possa essere la combinazione più adatta per condurre gli esseri umani alla felicità.
Nel 1759 l’economista e filosofo scozzese Adam Smith (1723 – 1790), nella sua opera Teoria dei Sentimenti Morali, propose un ragionamento secondo il quale alla base della felicità c’era un inganno di fondo. Secondo Smith, i poveri cercano di diventare ricchi per essere come i ricchi, che hanno più possibilità per soddisfare i propri bisogni e dunque si presume che siano anche più felici nella vita.
Ma, avverte Smith, non è detto che i ricchi siano automaticamente più felici dei poveri. Anche i benestanti possono avere problemi: non di natura economica ma di altro tipo. Da questo inganno originario, per Smith, inizia la corsa di chi non è ricco, e dunque della maggioranza della popolazione, verso la ricchezza. Questo enorme movimento determina un generale progresso che nel lungo periodo conduce a forme di sviluppo più o meno avanzate.
Nel 1974, l’economista statunitense Richard Easterlin, oggi 94enne, dimostrò come tra il 1946 e il 1970 la soddisfazione degli americani fosse rimasta in stagnazione anche se il Prodotto Interno Lordo era notevolmente aumentato. Il “paradosso di Easterlin”, secondo il quale economia e felicità crescono in un rapporto non lineare, può essere condiviso o meno, ma ha certamente contribuito alla discussione sul rapporto tra denaro e felicità.
In un periodo storico più recente, alla fine degli anni Zero, è stata pubblicata una ricerca di alcuni studiosi americani, su Psychological Science, successivamente ripresa dalla celebre rivista Time, che ha mostrato come il denaro possa fare arrivare alla felicità, quando si conta il valore delle banconote che si hanno tra le mani. Proprio così: avere denaro fisico e contante nelle proprie mani induce una sensazione di profondo benessere che porta ad uno stato d’animo di felicità.
Nel corso degli ultimi vent’anni, peraltro, si è sviluppato un filone di ricerca accademica internazionale chiamato
“Economia della Felicità”, nel quale confluiscono economia, psicologia e sociologia, con l’obiettivo di analizzare le interazioni tra variabili come: Prodotto Interno Lordo, reddito individuale, sicurezza sociale, occupazione, relazioni sociali, libertà economica, democrazia, diversità religiosa, libertà individuale, controllo sociale, stabilità politica.
Nel 2007, a Roma, si svolse un importante simposio organizzato dall’OCSE, uno dei più noti centri di ricerca mondiali in campo economico e sociale (con sede a Parigi). Al termine delle riflessioni elaborate dai partecipanti al meeting, l’OCSE elaborò la seguente sintesi: «I recenti avanzamenti nello studio della felicità e della soddisfazione nella vita hanno aperto nuove prospettive. Siamo, sembra, molto più vicini a misurare quanto sono felici le persone e a comprendere più chiaramente alcuni aspetti del benessere individuale. Questi avanzamenti, qualcuno ritiene, possono aprire la porta a nuovi paradigmi per la politica: paradigmi, ad esempio, che vedono nella felicità delle persone e non nel reddito nazionale l’obiettivo che i politici devono massimizzare».
Chiaramente, un discorso sulla felicità implica anche una riflessione sulle passioni
Siamo felici quando possiamo svolgere attività che stimolano in maniera piacevole il nostro cervello e ci procurano una sensazione di profondo piacere mentale e fisico, senza dover sottostare a convenzioni sociali o a regole imposte da altri.
Nei primi anni del XIX secolo, il filosofo francese Charles Fourier (1772 – 1837) si scagliò contro la repressione ingiustificata delle passioni individuali: secondo lui, proprio da queste bisogna iniziare per costruire una società tendente alla felicità e in cui le persone possano vivere in armonia, perché soltanto esprimendo liberamente le proprie passioni si può arrivare alla felicità.
La tesi di Fourier presenta aspetti interessanti, ma quando ognuno può esprimere le proprie predisposizioni emerge anche la maggiore o minore abilità di qualcuno nel fare qualcosa: ciò determina l’insorgere dell’invidia, un sentimento umano antichissimo, molto presente anche nell’epoca contemporanea. Le scoperte più recenti sui neuroni specchio, fatte nel campo della neurobiologia, hanno mostrato, peraltro, una empatia di fondo della natura umana. Non a caso, gli esseri umani vengono definiti anche come “animali sociali”.
Vi è poi la felicità connessa al dare qualcosa agli altri: nella prima metà del Novecento, il s