Cosa vuol dire per uno straniero vivere in Italia? Innamorarsi del bel paese e della sua lingua, oltre che delle sue tradizioni e della sua cultura. Trovare un lavoro che possa piacere e possa garantire di vivere con dignità. E magari trovare l’amore. Scontrarsi con la burocrazia. Che non è facile da affrontare per chi è italiano. Figuriamoci per chi ancora non ha la cittadinanza italiana, ma sogna di averla.
Difficoltà magari incomprensibili per chi è nato nello Stivale e gode per diritto di nascita della cittadinanza. Ma cosa vuol dire per una persona che ha scelto il nostro paese per vivere e lavorare, magari in giovane età, dover fare i conti con permessi da rinnovare di continuo, file interminabili in Questura, datori di lavoro (italiani, ovviamente) che non seguono le leggi che ci sono?
Ce lo racconta Oxana Senchenko, una giornalista di moda & lifestyle di 55 anni, con 25 anni di esperienza, sia in redazione, sia negli uffici stampa, attualmente senza lavoro.
Quando è venuta in Italia? Era sola?
Era il 1991. Avevo 27 anni. Ero laureata in lettere italiane all’università di Mosca, con tre anni di dottorato di ricerca dedicata alla storia di teorie linguistiche nell’Italia Rinascimentale. Contemporaneamente insegnavo lingue, facevo traduzioni e interpretariato per diverse aziende italiane, conducevo un corso di lingua italiana alla TV. Adoravo l’Italia (anche se la prima volta che ho potuto visitarla è stato solo nel 1989, dopo la caduta della cortina di ferro) e tutto ciò che era italiano. Quando uno dei miei clienti italiani di Verona mi ha proposto di venire nella sua scuola ad insegnare il russo, ho accettato senza pensarci due volte. L’unico problema era che non ha voluto seguire la procedura normale (era da poco entrata in vigore la Legge Martelli che prevedeva l’obbligo, per il datore di lavoro, di chiedere il permesso per far entrare in Italia un lavoratore straniero, affinché potesse richiedere un regolare permesso di soggiorno). Mi ha fatto figurare come una stagista. Allora non ero in grado di capire la differenza. Solo dopo aver terminato l’anno scolastico ho scoperto che non potevo prolungare il soggiorno e nemmeno convertire il mio permesso per studio in quello di lavoro.
Non sto qui a raccontare le difficoltà che ho avuto per trovare un altro datore di lavoro disposto a seguire la procedura regolare, alla fine ci sono riuscita, ma sono dovuta tornare a Mosca, richiedere un nuovo visto e rientrare in Italia con i documenti in regola.
Erano facili da ottenere e rinnovare i permessi di soggiorno di tipo lavorativo?
Il rinnovo dei permessi di soggiorno è un tasto dolente. Il primo è stato relativamente facile da ottenere, essendo l’azienda per cui lavoravo di Belluno, una piccola provincia con pochi stranieri e la Questura abbastanza incline a venire incontro alle richieste di aziende locali. Il rinnovo invece, ormai a Milano (lavoravo nella sede di Milano e quindi ero residente lì), è stato un incubo: file interminabili in Questura, orari di apertura al pubblico limitati, tutte le volte dovevo chiedere un permesso in ufficio (senza retribuzione ma con parecchi brontolii dei capi), folle di altri extracomunitari, per la maggior parte nordafricani, maleducati e prepotenti (questa frase ovviamente sarà censurata per la political correctness, ma io ricordo perfettamente che arrivavano e non volevano fare la fila come tutti gli altri, ti spintonavano, o peggio, cercavano di toccarti…). Le cose sono cambiate dopo 5 anni di residenza, quando ho potuto richiedere la Carta di soggiorno a tempo indeterminato. Ho tirato un sospiro di sollievo!
Quando ha deciso di chiedere la cittadinanza?
Dopo 10 anni di residenza avrei potuto farlo, ma ho avuto un “regalo” da parte del governo russo: hanno cambiato il modo di scrivere il mio cognome, quindi mi è toccato rifare tutti i documenti italiani, il che ha ritardato la possibilità di richiedere la cittadinanza. Nel frattempo ho conosciuto il mio attuale marito e ho deciso di aspettare il matrimonio per avere maggiori chance di ottenerla. Ma qui, un’altra brutta sorpresa: in precedenza, se tu eri residente in Italia prima del matrimonio, potevi fare la domanda di cittadinanza subito dopo, ma qualche mese prima che mi sono sposata, questa norma è stata cambiata. Bisognava aspettare tre anni e poi altri tre per avere la risposta. Alla fine, l’agognato passaporto mi è arrivato nel 2014.
Perché l’ho fatto? Pensavo di aver assimilato abbastanza italianità per averlo anche riconosciuto legalmente.
Si è occupata da sola dell’iter burocratico o ha avuto bisogno di aiuto?
Da sola non credo che ce l’avrei fatta. Una valanga di documenti da presentare, compresi certificati dal paese di origine, moduli interminabili da compilare. Mi avevano consigliato un avvocato. Ha preparato lui le pratiche, ovviamente a prezzi non proprio modici.
No so esattamente come sia oggi, ma non credo che sia cambiato molto. So che i tempi, dopo la domanda, sono diventati più veloci, probabilmente grazie alla digitalizzazione.
Cosa cambierebbe?
Credo che bisognerebbe semplificare la procedura, almeno per chi ha un coniuge italiano. Di contro, non darei la cittadinanza a chi non parla la lingua e non conosce e non rispetta la cultura e la realtà italiana.
Tornando indietro, sceglierebbe ancora di venire e restare in Italia?
Bella domanda! Oggi forse no, ho vissuto tanti anni e purtroppo devo constatare che le cose sono andate sempre peggio. Sono arrivata in Italia che c’era la lira, e io, da sola, con lo stipendio di 1.500.000 al mese, vivevo abbastanza bene, senza esagerare, ma pagavo l’affitto, le bollette, mangiavo, mi vestivo, viaggiavo e aiutavo anche i miei in Russia che in quel momento erano in gravi difficoltà). Sono anche riuscita a comprare casa. Oggi invece.
Chiaramente, non torno indietro. La maggior parte della mia vita l’ho passata in Italia e, nonostante tutto, amo questo paese. Però, se avessi dovuto scegliere adesso, credo che avrei preferito tornare in Russia. Non è che lì è tutto rose e fiori, ma si percepisce la dinamicità, l’energia, la voglia di fare che qui faccio fatica a sentire, ahimè.