Dall’Albania all’Italia a bordo di un gommone. Il viaggio e la rinascita di Eltjon Bida

In evidenza

Patrizia Chimera
Patrizia Chimera
Giornalista pubblicista di attualità e lifestyle. Spirito zen, curiosità innata, ama sempre mettere tutto in discussione
Tempo di lettura stimato: 4 minuti

Era il 9 febbraio del 1991. La Repubblica Popolare Socialista d’Albania era caduta. Da quel giorno più di 10mila cittadini albanesi arrivarono al porto di Durazzo. Per espatriare. Per approdare in Italia. Alla ricerca di lavoro. Di una possibilità. Per sé stessi e i loro cari.

Gli esperti parlano oggi del primo arrivo di massa di immigrati in Italia. Il 7 marzo 1991 27mila cittadini albanesi raggiunsero Brindisi. L’8 agosto il mercantile Vlora approdò a Bari con altri 20mila in fuga dall’Albania.
Chi ha affrontato il viaggio in mare a bordo di gommoni fatiscenti non dimenticherà mai quello che ha vissuto. Così come non dimenticherà chi non ce l’ha fatta. Ricordi che riaffiorano ancora oggi guardando a quei migranti che arrivano da un altro mare con le stesse speranze. E sono accolti con la stessa diffidenza e paura.

Ragazzo in spiaggia dà le spalle al mare
Photo by Pagie Page on Unsplash

C’era una volta un clandestino

Eltjon Bida aveva 17 anni e due mesi quando è salito su uno di quei gommoni, che abbiamo visto per mesi nei telegiornali italiani arrancare nelle acque dell’Adriatico. Uno di quei barconi che anche la cronaca più recente ci mostra spesso in balia delle onde.
Eltjon è arrivato in Italia nel 1995. Oggi vive a Milano con la moglie inglese e i loro due figli.
Ha scritto un libro edito da Policromia, C’era una volta un clandestino. Un romanzo autobiografico che racconta difficoltà, paure, speranze, riscatto di chi ha lasciato la propria casa in cerca di una terra promessa.

Eltjon è partito da Bashkim, un paesino di 600 abitanti in provincia di Fier. Voleva venire in Italia perché in Albania non aveva un futuro. C’erano solo povertà e fame. La disperazione lo ha guidato fino a quel gommone che lo ha portato dall’altra parte dell’Adriatico.
Una decisione sua, come ci racconta, dal momento che il padre non sapeva se lasciar partire o no quel figlio che era però sicuro della sua scelta.

Sapeva che in Albania avrei avuto solo giorni infelici e dunque mi ha detto: Ok, parti. E poi diciamocelo, si partiva per Italia. Il paese, non solo dei miei sogni ma di tutti gli albanesi.

Già, la terra promessa. Che per lui, allora 17enne, rappresentava anche molto di più. Soffriva di un problema renale. E in patria nessuno era riuscito ad aiutarlo.

L’unica proposta dei medici era stata di operarmi, facendomi un taglio tra la pancia e la schiena, in seguito al quale avrebbero valutato se tenere il rene o meno. Anche ad una mia cugina avevano asportato un rene e all’epoca si parlava molto di vendita degli organi. Quindi c’era tanta paura.

Dall’Albania all’Italia

Per Eltjon la scelta è stata partire. In un viaggio che non dimenticherà mai.

Ricordo il terrore che c’era in quel gommone e l’improvvisa voglia di abbracciare le persone a cui volevo bene.
Il terrore, perché quando vedi solo acqua, pensi alla morte e preghi Dio di continuo. A me veniva in mente la scomparsa di due miei cugini che erano partiti qualche giorno prima di me. Di loro, non si è mai saputo la fine che hanno fatto. C’erano delle voci che dicevano che molto probabilmente, nella notte della loro partenza, il gommone aveva cominciato ad imbarcare acqua e gli scafisti, per alleggerire il peso, avevano sparato a tutti, per poi buttarli nel mare come dei topi morti.
Di quelle 25/30 persone che erano partite quella notte, non si sono mai avuto notizie.

Il gommone di Eltjon è stato fatto sbarcare tra Otranto e Lecce. Era buio. Era da poco passata la mezzanotte. Tutti erano bagnati. Era febbraio. Il freddo era tagliente.

Appena messi i piedi sulla riva gli scafisti ci hanno lasciati con due italiani: ci attendevano nascosti nella foresta. Anche se la somma di un milione di vecchie lire che avevamo pagato era per portarci fino alla stazione di Lecce, i due italiani ce ne chiesero altre centomila per spostarci da lì dov’eravamo.

Il gruppo venne portato in un magazzino abbandonato. All’alba un taxi venne a prenderli. E dovettero pagare altre 40mila lire per andare alla stazione di Lecce. Poi un pullman diretto a Pescara.

In Italia, tra aspettative e realtà

Un viaggio pieno di ostacoli, difficili da superare per un ragazzo da solo in una terra straniera, ma quando Eltjon Bida è arrivato in Italia non è rimasto deluso.

Quello che ho trovato qui era più o meno come l’ho aspettavo. Gli italiani li trovai gentili e le ragazze, bellissime. Da altri immigrati che erano partiti prima di me, sapevo che c’era da lavorare tanto. Così mi sono rimboccato le maniche e mi sono dato da fare senza mai fare polemiche.

Sono passati 24 anni da quella traversata. L’Italia continua a rappresentare la terra promessa per molti disperati che salgono su barconi carichi di speranze. E chi ci è passato non può che provare un profondo dispiacere.

Mi addolora perché tanti come me partono per la disperazione e cercano un futuro migliore per i loro figli. E se mi posso permettere di dare un consiglio, ciò si ottiene cercando d’integrarsi, comportandosi bene e lavorando tanto.

Cappello con scritta "Ama il tuo vicino"
Photo by Nina Strehl on Unsplash

L’Albania che vive in Italia.

Oggi la comunità albanese in Italia rappresenta l’11,6% dei cittadini non comunitari. Al primo gennaio 2018 i cittadini di origine albanese che regolarmente soggiornano nel paese sono erano 430.340. È la seconda comunità per numero di presenze, dopo il Marocco e prima di Cina, Ucraina, Filippine. Il tasso di occupazione è del 53,8%, con una forte presenza nel settore edile. Vivono principalmente al Nord.

Molti cittadini albanesi sono tornati in patria. Sono soprattutto i più giovani a far ritorno. Aiutando a migliorare la situazione del paese di origine.
I dati della loro presenza, infatti, sono in leggero calo rispetto al passato.

Eltjon Bida parla dell’importanza dell’integrazione, degli aiuti, dell’inclusione e di politiche adeguate. A cosa dovrebbe pensare chi è al Governo, soprattutto di fronte ai nuovi migranti che arrivano dal Mediterraneo?

Deve cercare di sistemare chi veramente ne ha bisogno e magari aiutandoli a integrarsi. Lo Stato deve fare controlli più rigorosi. Non tutti quelli che arrivano in Italia vengono per lavorare, lo sappiamo anche noi. Anche negli anni Novanta si sentiva che c’era chi raggiungeva l’Italia perché a casa era ricercato. A volte con un gommone, oltre alle persone, si trasportava droga o altri prodotti illegali. Per questo sono il primo a dire che ci devono essere maggiori controlli. E a chi ruba, spaccia, maltratta le donne, devono essere prese le impronte digitali e tolto  il permesso di soggiorno, caso mai lo abbia o la cittadinanza e rimpatriarlo, punto.

Le mele marce ci sono ovunque. Basta non far di tutta l’erba un fascio. Altrimenti a rimetterci sono sempre i più deboli e chi davvero è alla ricerca di una seconda possibilità.